sabato 30 giugno 2012

Il mio sud

Da anni ormai il mio sud è quello dell'estate e perciò sempre legato a certi ricordi d'infanzia fatti di muri bianchi e sole. Tanto sole.
Il mio sud è un incessante concerto di cicale, odore di timo misto al soffritto di aglio. E' l'orizzonte che si perde in un miraggio, liquefazione di cielo e terra bruciata. E' un vento salato portato dal mare. E' una pineta che si ribella al fuoco e rinasce. Sempre.






mercoledì 27 giugno 2012

Sulle strade del terremoto

Silvia ed io decidemmo di andarci insieme, per farci coraggio e vincere la timidezza. Progettammo quel giro in fretta, da Carpi risaliamo per la Motta e ci dirigiamo verso Cavezzo, ci siamo dette. Le tante deviazioni trovate per strada ci avrebbero più volte fatto modificare la mappa.
Il desiderio di fotografare nelle zone del terremoto era qualcosa che ci aveva preso da subito: vedere, sentire, accogliere dentro di sé, trasmettere.
Ci preoccupava il pensiero di essere invadenti e ci offendeva l'idea che ci prendessero per turisti della fotografia. Sapremo essere discrete, ne eravamo certe.
Cominciammo il nostro giro da Fossoli, neanche uscite da Carpi. E già la realtà cominciava a farsi pesante. Interi isolati circondati dal fatidico nastro bianco e rosso, già visto anche a Modena, e silenzio da deserto e cocci e calcinacci e quelle crepe profonde fino al cuore. La tendopoli era un po' più in là, un papà sorreggeva il suo bambino in bicicletta sul vialetto tra i teli blu. Niente obiettivo su di loro, niente persone, così avevamo deciso.
Proseguimmo fuori dell'abitato, volevamo addentrarci nelle campagne. E le campagne ci resituirono presto tutta la loro tristezza. Era difficile capire se quel diroccare di tetti di antiche costruzioni fosse dovuto al tempo corrosivo o al terremoto. Finché vicino agli edifici non comparvero le tende e qualche segnale di vita vissuta. Ogni fabbricato, all'apparenza integro, aveva di fianco la sua barchessa crollata, gli animali in cortile e il gruppo di tende.
La strada era interrotta, per Rovereto non ci si andava. La deviazione ci portò a Sant'Antonio in Mercadello. Mai sentito nominare, dissi. Strane conseguenze del terremoto che rimpicciolisce il mondo.
Il paese si raccoglieva intorno alla via principale, silenzioso e stretto dai soliti nastri. Uno strato di cocci ricopriva il sagrato della chiesa anni '60: sembravano foglie secche, ma non era autunno. Alcune persone parlavano animatamente, sedute davanti all'uscio di una casa, non facevano caso a noi. La tendopoli era un po' più avanti.
A Rovereto ci arrivammo in qualche modo. Parcheggiammo dove si poteva, a lato di un parco, in fondo le tende. Poliziotti erano a presidio delle transenne: la zona rossa si apriva al nostro sguardo e ci concedeva solo di girarle intorno. Ma tanto bastava per cogliere la disperazione degli squarci nelle case, del campanile sbriciolato sopra un tetto che non ha resistito. Resisteva il viavai delle auto che sfiorava il paese per recarsi nei luoghi di lavoro dove la vita non si era mai fermata.
Pensammo di andare verso Novi ma le deviazioni continuarono a confonderci i piani. Ci ritrovammo su una strada per San Possidonio, sotto un argine meraviglioso - ci torneremo quando tutto sarà finito, bellissima bassa. E ancora fabbricati rurali e macerie e tende.
All'incrocio, di là c'era Mirandola. Non fu difficile decidere.
La città aveva una sua vita, intorno ai parchi e ai campi di tende. Gente in movimento, in bicicletta soprattutto, i semafori lampeggiavano tutti sul giallo. E la zona rossa, transennata, presidiata. Tante persone intorno in attesa di poter entrare, vigili del fuoco al lavoro su un campanile. Un giornalista si preparava alla diretta, sullo sfondo il castello silenziosamente si lasciava guardare le ferite.
Pensammo che era ora di tornare a casa, occhi e cuore pieni. Sulla strada c'era Cavezzo.
Lì le macerie delle recenti demolizioni ci ammutolirono con la loro crudeltà.
A Cavezzo ho pianto.












Questo post è stato già pubblicato su http://www.terremotiracconto.it/

domenica 24 giugno 2012

Quando il bello deve ancora venire

Mi succede fin troppo spesso di perdermi il clou degli eventi, di arrivarci o troppo presto o troppo tardi.
Anche per "Ebbene sì, fumetti al Bonvi Parken" mi è toccato assistere al work in progress.
Bancarelle da riempire, di fumetti ovviamente ma anche di fogli e pennarelli, tempere e pastelli; di mattoni della solidarietà, ebbene sì, decorati dai fumettisti. E disegni da appendere alle pareti degli stand in attesa di un chiodo e di un martello. E addetti ai lavori seriosi e concentrati.
I primi curiosi, la prima presentazione. Io la Nina e Virginia che ci aggiriamo circospette e invisibili.
Il bello deve ancora venire ma noi non ci saremo ahimé.







lunedì 18 giugno 2012

Piccoli e grandi ciclisti

Ve l'avevo detto che avrei parlato ancora di loro, no?
Dico di questi giovani ciclisti che si cimentano con la fatica e con gli obiettivi tra allenamenti e gare.
Quella di ieri è stata solo una passeggiata, nel senso che non era una gara ma un cicloraduno, quello organizzato da Francesco Moser ogni anno praticamente in casa sua.
Il mio piccolo campione, con i suoi dodici anni quasi tredici, era il più giovane e perciò si è guadagnato un premio. A lui anche la grande soddisfazione di averne "superati tanti dei più grandi in salita" - testuali parole sue - e di essere arrivato appunto davanti a tantissimi altri, più grandi di lui. 














venerdì 15 giugno 2012

TerreMOti racconto

Non potevo non dedicare una spazio a questa iniziativa perché c'è molto di me in essa: lavoro dedizione credo.
Vogliamo semplicemente raccogliere tutte le storie che vorrete raccontarci su come avete vissuto il terremoto in Emilia. Lo facciamo attraverso questo blog e l'idea è quella di riassumere tutto in un ebook.
Perché? Perché non vogliamo dimenticare ed essere dimenticati.
Incontrerete i miei due compagni d'avventura navigando tra le pagine, con loro condivido l'entusiasmo e la fatica, le emozioni, le paure.


mercoledì 13 giugno 2012

Volevo guardare il mio dolore in faccia

Fin da subito, fin dai primi giorni in cui il terremoto ha deciso di cambiare irreversibilmente le nostre vite di emiliani, ho sentito forte il desiderio di andare nelle zone più colpite per fotografare. Non è curiosità morbosa, non è turismo fotografico. E' un bisogno che nasce dentro, un po' frenato dal pudore e il rispetto per chi la tragedia la vive sulla sua pelle. Guardare in faccia tutto il mio dolore per trarne forza e non dimenticarlo. E trasmetterne l'essenza con i mezzi di cui dispongo. C'è chi scrive, chi trattiene, chi racconta, chi nasconde, chi si attiva. Io fotografo.








Tutte le fotografie del viaggio sono qui



lunedì 11 giugno 2012

Tra parentesi

C'è sempre bisogno di qualche "tra parentesi" nella vita. Per un giorno ho voluto lasciar fuori dalle parentesi la paura delle scosse, le giornate al lavoro vissute con il pensiero agli altri negozi che chissà quando riaprono, a quelli che chiudono per mettersi in sicurezza, ai colleghi sfollati che ci raccontano le loro storie - e io ancora non ci credo che sia tutto così vicino e reale.
Tra parentesi ci metto una gita, di quelle che durano un giorno intero e ti sfiancano di chilometri in macchina, di panini e gelati e finiscono al mare.
Bellissima Siena, come neanche me la ricordavo.
Così naturale tra i turisti che ormai fanno pendant coi merletti del Duomo. Così dolce e vitale e respirata e vissuta.










martedì 5 giugno 2012

Noi emiliani ci sentiamo così

Noi emiliani - che sta per chi in Emilia ci è nato e per chi ci vive - ci sentiamo un po' così.
Un po' tristi, un po' sperduti, un po' malconci. Abbiamo un po' paura.
Coccoliamo i nostri piccoli. Ci abbracciamo stretti stretti. Qualche volta vediamo nero.
Abbiamo il cuore a brandelli. Ci facciamo un po' coraggio.
E guardiamo avanti.






domenica 3 giugno 2012

Il nastro

Modena è viva più che mai questo sabato pomeriggio post-terremoto. Il centro brulica di negozi aperti, di mercatini e locali affollati. La gente cammina, si parla, si abbraccia. Modena non vuole avere sempre paura.
Velocemente sono stati raccattati i cocci, ripulite le strade. Subito è stato fatto ripartire l'orologio del Municipio, fermo sulla prima scossa del 29 maggio. 
Resta il nastro, bianco e rosso, una benda sulle nostre ferite e sulla nostra storia.




venerdì 1 giugno 2012

Quella fottuta paura

Preparare le macchine per poterci dormire la notte, portare le coperte, i cuscini, le torce, il libro da leggere, l'acqua da bere, è stato per Virginia un rito ed un gioco insieme.
Il rito che aiuta ad affrontare la paura, quella dei grandi però. Perché lei continua a dire che la scossa di martedì mattina non l'ha sentita: ha suonato la campanella del terremoto e loro si sono subito infilati sotto i banchi perché così avevano imparato. E poi subito sul prato della scuola, ordinati e tranquilli, ad aspettare i genitori che corrono a prenderli.
E che li abbracciano piangendo. Piange anche qualche ragazzino più grande, più consapevole, che ha una paura tutta sua da raccontare.
Tranquilla mamma, stanotte non verrà nessuna scossa. Chiudi gli occhi piccola, se anche verrà ci sono io qui con te.
Dicevo della paura. Quella paura che ormai non conosce ragioni, non accetta la consapevolezza che la tua casa in fondo è al sicuro. E' paura pura.
Paura verso ciò che non puoi controllare e che non ha mandanti e non ha colpevoli.
Quella fottuta paura che scivola in tutta la mia città e spinge la gente a ritrovarsi fuori.
Quella viscida paura che trasforma Modena in una tendopoli e attanaglia tutti nell'attesa che passi anche questo giorno, che arrivi quella forte o che il terremoto finalmente si dimentichi di noi.